Le sfilate internazionali, la brillantezza delle luci, gli applausi infiniti: tutto sembra confermare che la moda italiana sia più viva che mai. Ma dietro quell’apparenza c’è un’altra storia — quella dei laboratori che chiudono, delle imprese artigiane che arrancano e delle catene produttive che cedono alla pressione del prezzo più basso. Per chi difende il vero Made in Italy, è tempo di porsi domande.
La crisi silenziosa della produzione italiana
Le aziende della filiera moda in zone storiche come Toscana, Marche e Campania stanno progressivamente scomparendo: solo in Toscana sono state oltre 300 le imprese chiuse in pochi mesi, con migliaia di ore di ammortizzatori sociali utilizzate nel settore conciario e calzaturiero. Questo significa che le mani che un tempo realizzavano capi e accessori di qualità Made in Italy rischiano di scomparire.
Il marchio come vetrina, la produzione come incognita
Mentre le settimane della moda mostrano passerelle e collezioni scintillanti, emergono criticità nella filiera. Alcuni marchi di lusso italiani, pur vendendo prodotti a migliaia di euro, hanno utilizzato subappaltatori che pagavano operai pochi euro al pezzo, in condizioni spesso irregolari. Come può definirsi autentico Made in Italy un prodotto venduto come artigianale quando la sua catena produttiva è opaca?
Le sfilate e il reale impatto sul territorio
Le passerelle trasformano campi e palazzi in scenografie creative, ma quanto resta delle imprese che davvero lavorano sul territorio? Per le aziende che producono internamente in Italia, il costo della manodopera, delle materie prime e della sostenibilità è più alto. Tuttavia, la narrazione dei brand spesso non lo riflette.
Una richiesta chiara per il futuro
Chi tutela il vero Made in Italy chiede trasparenza in ogni fase produttiva, garantendo che il marchio rifletta la realtà dell’artigianato italiano e dando priorità alle imprese che mantengono produzione e filiera completamente italiane. Perché qualità, autenticità e reputazione non si costruiscono solo con una passerella, ma con mani che lavorano, imprese che resistono e territori che vivono.